ADHD: COSA AIUTA DAVVERO?
- Priscilla Cozzi
- 7 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 16 nov
“Sta attento!”, “Concentrati!”, “Devi impegnarti di più!”
Sono frasi che i bambini con ADHD sentono dire ogni giorno.
Eppure, la realtà è che loro si impegnano moltissimo — solo che il loro cervello lavora in modo diverso.
Un cervello che funziona “diversamente”, non “male”
L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) è una neurodivergenza, non una cattiva educazione o una mancanza di volontà.
Il cervello di questi bambini elabora le informazioni con una diversa regolazione dopaminergica: significa che i circuiti della motivazione, dell’attenzione e della gratificazione non si attivano in modo automatico come in altri bambini.
In parole semplici:
• fanno più fatica ad avviare e mantenere l’attenzione su compiti che non li stimolano,
• si iperconcentrano invece su ciò che li interessa,
• vivono emozioni più intense e hanno maggiore difficoltà a gestirle,
• sono impulsivi, non per disinteresse, ma perché faticano a “fermare” l’impulso tra emozione e azione.
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Il problema non sono loro: è l’ambiente
La scuola, così com’è strutturata, non è pensata per la neurodiversità.
È un sistema lineare, standardizzato, in cui la performance cognitiva viene misurata con gli stessi parametri per tutti: tempo, ordine, silenzio, controllo.
Un bambino ADHD, in un contesto del genere, si sente costantemente in errore.
Non perché non sia capace, ma perché le sue modalità di apprendimento e di autoregolazione non trovano spazio.
Quando il contesto diventa rigido, lui esplode o si spegne. Entrambe le reazioni non sono “capricci”: sono strategie di sopravvivenza.
Cosa serve davvero: relazioni regolative e contesti flessibili
Un bambino ADHD impara e cresce meglio quando non gli si chiede di adattarsi a un modello impossibile, ma quando l’ambiente si adatta un po’ a lui.
Ecco le leve fondamentali per aiutarlo davvero:
1. Strutturare senza rigidità
Routine chiare, ma non punitive. I bambini ADHD hanno bisogno di sapere cosa succederà, ma anche di margini di libertà per esprimersi.
2. Rendere visibile il tempo e il compito
Timer visivi, step brevi e concreti, strumenti grafici (mappe, schemi, disegni) aiutano il cervello ADHD a orientarsi. Il tempo per loro è un concetto astratto, renderlo visivo lo rende gestibile.
3. Valorizzare la motivazione, non la punizione
Il sistema dopaminico si attiva con la gratificazione, non con la paura. I rinforzi positivi, la curiosità, la scoperta, l’umorismo, l’interesse personale sono carburante per la concentrazione.
4. Allenare l’autoregolazione, non imporla
La calma si insegna stando calmi, non chiedendo calma. Il bambino ADHD ha bisogno di un adulto che lo accompagni passo passo nella gestione dell’impulso, con coerenza e presenza emotiva.
5. Educare all’autoconsapevolezza
Insegnare a riconoscere i propri stati interni (“ora ti senti agitato”, “ti accorgi che il corpo è teso?”) è il primo passo per costruire la regolazione emotiva e cognitiva.
Il potenziale spesso incompreso
Molti bambini ADHD sono creativi, intuitivi, empatici, curiosi e capaci di pensiero divergente.
Il problema è che queste qualità non vengono valorizzate in un sistema educativo che premia il conformismo cognitivo e penalizza l’energia.
Eppure, se sostenuti in modo adeguato, possono esprimere risorse straordinarie:
• inventiva e flessibilità mentale,
• rapidità nel problem solving,
• capacità di pensare “fuori dagli schemi”,
• sensibilità relazionale e intuito emotivo.
Il segreto è smettere di vederli come “da correggere” e iniziare a vederli come da comprendere.
In conclusione
Aiutare un bambino ADHD significa costruire un contesto che gli permetta di funzionare bene, non forzarlo a funzionare come gli altri.
Significa offrirgli strumenti per riconoscersi, strategie per organizzarsi, ma anche adulti che lo guardino senza giudizio, con fiducia e pazienza.
Non serve “aggiustarlo”.
Serve accoglierlo nel suo modo di essere e accompagnarlo a conoscersi, perché ogni bambino — neurodivergente o meno — può fiorire solo in un ambiente che lo fa sentire al sicuro, visto e compreso.
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